LE SETTE VIE
Racconto folk horror non così fantastico
su ALMANACCO DELL'ORRORE POPOLARE a cura di Fabio Camilletti
Odoya 2021
Da qualche tempo, in Gran Bretagna, si parla di folk horror per indicare quel miscuglio di isolamento rurale, paganesimo e paure ctonie che sembra animare come un filo segreto la cultura degli anni Settanta, tesa fra occultismo, psichedelia e incubi rurali. Al tempo stesso, sulla scia di pensatori come Jacques Derrida e Mark Fisher, folk horror ha preso a indicare qualcos’altro: non solo certe atmosfere del passato più prossimo, ma anche e soprattutto i rapporti che noi contemporanei intratteniamo con quelle atmosfere, cercando in esse un antidoto al vuoto di senso che sembra caratterizzare il presente. Almanacco dell’orrore popolare non è solo un viaggio alla scoperta del folk horror della provincia italiana. È, anzitutto, un’indagine sulle tensioni più segrete che animano la cultura della penisola: l’onnipresenza del passato e la compresenza di antico e moderno, la permeabilità tra mondo subalterno e cultura alta e lo slittare continuo tra centro e margine – sia esso geografico, sociale o culturale – che dà alla cultura italiana un’impronta perennemente decentrata, diasporica, soggetta a ibridazioni. Almanacco dell’orrore popolare raccoglie saggi, racconti e testimonianze senza inseguire una (impossibile) completezza. Ne risulta un singolare missaggio, nel quale pop e folk, invenzione e tradizione si confondono: delineando così l’ombra di una Repubblica Invisibile della quale facciamo tutti, inconsapevolmente, parte.
Scrive Pupi Avati: "Il fine della favola contadina è quello di spaventarti, di mandarti a letto, paralizzato dalla paura. Raccontata in quei luoghi aveva un sapore, un’incisività e un’efficacia come in nessun altro luogo. Oltretutto te la narravano all’imbrunire, quando l’oscurità stava per diventare totale. Subito dopo ti abbandonavano in queste immense stanze da letto al primo piano, buissime, scricchiolanti, con le scale di legno, dotate di un corredo sonoro che avrebbe impressionato chiunque. La piccola immaginazione alla quale ricorro nel mio lavoro mi deriva proprio dalla favola contadina, dall’aver imparato a riempire quello sconfinato buio di così tante, spaventevoli, presenze."